La potenza del caos

Il pensiero dimenticato di Ernest Coeurderoy.

Il libro di Franco Della Peruta “I democratici e la rivoluzione italiana” è un testo fondamentale per chi vuole conoscere approfonditamente i pensieri e le azioni di coloro che volevano vedere l’Italia libera dal giogo straniero e da quello della povertà. Mazzini, Ferrari, Cattaneo, Rusconi e molti altri sono i protagonisti di questo libro. All’interno della narrazione, che tratta gli eventi dal 1848 al 1853, Della Peruta tratteggia anche il pensiero di alcuni filosofi minori ma non per questo meno interessanti. Tra essi il teorico della bancocrazia barone Corvaja e soprattutto Ernest Couerderoy. Lo storico marxista non approfondisce compiutamente la filosofia di Couerderoy perché non è di suo interesse ma la curiosità che suscita in poche righe è molto forte. Couerderoy era un francese dalle idee anarchiche e libertarie che morì suicida il 25 ottobre 1862 a Ginevra, in esilio. Egli era nella città svizzera dal 1848 quando, dopo la “primavera dei popoli”, era stato costretto ad espatriare. La sua concezione del mondo e della rivoluzione influenzò Bakunin che a sua volta fu, come testimonia il saggio “Mazzini e Bakunin” di Nello Rosselli (https://unaltropuntodivista.altervista.org/recensione-libro-mazzini-e-bakunin-di-nello-rosselli/), il grande ispiratore dei primi movimenti operai italiani. Vale quindi la pena concentrarsi su ciò che Couerderoy pensava e scriveva appoggiandosi anche alle citazioni che Della Peruta inserisce nel suo libro.

Pensiero

I due volumi più importanti di Couerderoy sono “De la revolution dans l’homme e dans le societe” del 1852 e “Hurrah! Ou la revolution par les Cosaques” del 1853. In essi vengono condensate le sue idee, parzialmente ispirate da Leroux, Fourier e Proudhon. È tuttavia innegabile che quest’ultimo venga superato da Couerderoy stesso. Come fa notare Marx, la natura piccolo borghese di Proudhon è chiaramente manifestata dal limite riformista delle sue idee. Non ci deve essere la rivoluzione ma solo graduali cambiamenti che, in nome delle collaborazioni tra classi, porteranno a una società più giusta. La proprietà è rispettata perché l’obiettivo non è la sua collettivizzazione. Alla società più giusta si arriverà con la cooperazione e con le riforme. Couerderoy spazza via tutto ciò. Egli scrive: “… noi non abbiamo speranza che nel diluvio umano; non abbiamo avvenire che nel caos; non abbiamo altra risorsa che una guerra generale la quale, mescolando tutte le razze e spezzando tutti i rapporti stabiliti, ritirerà dalle mani delle classi dominanti gli strumenti di oppressione con i quali esse violano le libertà acquistate a prezzo del sangue. Instauriamo la rivoluzione nei fatti, trasfondiamola nelle istituzioni; sia essa inoculata dalla spada dell’organismo delle società…”. Couerderoy ha quindi una concezione apocalittica della rivoluzione come scatenamento delle passioni e degli istinti. Gli obiettivi di essa non sono le pretese piccolo borghesi, timide e intimamente reazionarie, di socialisti e repubblicani. L’istituzione della Guardia Nazionale, la Costituzione, la concessione della libertà di stampa e il suffragio universale non gli interessano. Couerderoy prende di mira soprattutto i rappresentanti francesi delle due correnti sopra citate. Il vero fine della rivoluzione è il regno del lavoro e l’impero delle passioni, chiaro eco fourierista, e della felicità. I tramiti per arrivare a quel paradiso terreno sono l’abolizione della proprietà, la soppressione dell’interesse che è un’idea di ispirazione proudhoniana, la distruzione del monopolio e l’equità dello scambio cioè il baratto. La rivoluzione non potrà essere fatta dalla borghesia perché il suo fine, cioè l’anarchia, è contraria all’esistenza della borghesia stessa. Ma non saranno nemmeno gli anarchici i protagonisti poiché essi sono troppo pochi per influire efficacemente sulla società. E allora a chi spetta il compito di dare il via alla rivoluzione? È nella risposta a questa domanda che Couerderoy tocca vette di originalità altissime.

La teoria dei Cosacchi

Couerderoy scrive: “Vedo l’esercito del Nord entrare a Parigi con i suoi cannoni davanti, gli stendardi spiegati, le lance in mano, innumerevoli, orgogliosi, ancora macchiati di sangue”. Questo “esercito del Nord” sono i Cosacchi, cioè i Russi. Sono loro che dovranno portare la rivoluzione, che anche in questa citazione viene considerata violenta, in Europa occidentale. La popolazione di questa zona di mondo è infatti oramai incapace di imprimere la svolta necessaria per la creazione di un mondo nuovo. Gli stessi socialisti francesi sono autoritari e controrivoluzionari. Non può spettare a loro il compito di iniziare e portare a termine la rivoluzione. La posizione di Couerderoy si inserisce in maniera del tutto particolare nella discussione che all’epoca investiva il campo dei democratici europei e soprattutto italiani. Infatti si dibatteva su quale popolo dovesse essere l’iniziatore e l’ispiratore di quella generale sollevazione che si pensava prossima. Mazzini riteneva che i popoli guida fossero quelli oppressi e privi di un proprio Stato nazionale. Quindi in primis gli italiani poi i polacchi e gli slavi. Per Ferrari, acerrimo rivale del genovese e socialista convinto, era il popolo francese, nella sua componente per l’appunto socialista, a dover capeggiare la rivoluzione delle genti. Couerderoy, come spesso accade, si erge solitario e afferma che “ai cadaveri non si imprimono che scosse forzate”. I popoli europei sono oramai cadaveri della storia e l’iniziativa non può partire da loro. “Cosacco è l’uomo diseredato che reclama bravamente, con la paura del suo ferro, un posto nel focolare sociale; è il brigante, il barbaro… in una parola colui che ha fame e sete ed al quale non volete dare né da bere né da mangiare; il Cosacco è il rivoluzionario per la forza delle cose, per il suo interesse, per la sua vita”. Ai margini del continente e della vita economica, oppresso da un potere intoccabile come quello dello zar, quando il Russo si solleverà trascinerà nella sua foga liberatrice tutta Europa. Il popolo russo, emarginato, pretende un miglioramento della sua condizione e lo otterrà con la spada e il sangue. Dalla distruzione cosacca nascerà un nuovo mondo, più giusto ed equo. Come il trionfo del cristianesimo portava con sé la distruzione dell’impero romano, così la furia russa porta con sé la rivoluzione socialista e la distruzione dell’ordine borghese con conseguente nascita di una società migliore.

La polemica con Mazzini

In un testo del 1852, intitolato “La barriere du combat” e scritto con il fourierista Octave Vauthier, Couerderoy si inseriva nell’asprissima polemica che agitava il campo democratico dopo il colpo di Stato del 2 dicembre 1851 da parte di Luigi Bonaparte, futuro Napoleone III. Il golpe aveva gettato nello scompiglio i settori più avanzati dei socialisti e dei repubblicani. Infatti fu polverizzata la speranza, quasi messianica, che il 1852 avrebbe portato alla riscossa dei popoli. Quel sogno era comune a molti democratici ma il colpo di mano di Luigi Napoleone lo aveva spazzato via. Mazzini analizzò ciò che era successo, come fece anche Marx. La sua conclusione, diversissima da quella dell’autore del Capitale, era un’asprissima critica rivolta verso i socialisti francesi. Essi avevano privato il popolo di ogni slancio ideale seminando il germe del materialismo e inoltre avevano diviso i democratici in una miriade di sette e scuole in disaccordo tra loro. Il risultato era stato lo scompaginamento e la confusione. A favore di Mazzini si erano espressi alcuni repubblicani inglesi mentre il padre nobile dell’Italia aveva ricevuto aspre critiche dalla sua ex amica George Sand, dal grande Blanqui, da Proudhon e dai socialisti francesi come Leroux, Blanc e Cabet. Nel coro di voci che si erano levate contro colui che era tra i più importanti democratici europei c’era anche Couerderoy. Con il suo stile caustico si immaginava, nel già citato “La barriere du combat”, che Mazzini sarebbe stato condotto davanti a un tribunale che lo avrebbe condannato per antisocialismo e autoritarismo. Couerderoy, ancora una volta, si ergeva solitario e predicava l’arrivo dei Cosacchi che, con la loro furia livellatrice, avrebbero spazzato via sia i vuoti ideali di Mazzini sia le timide riforme dei socialisti francesi.

Conclusioni

Ciò che ha fatto cadere Couerderoy nel dimenticatoio, che è anche ciò che lo rende meritevole di essere riscoperto, è la sua estrema particolarità. Anarchico ispiratore di Bakunin ma influenzato da Proudhon nonostante poi lo superi. Libertario ma nemico di tutti, sostenitore di una rivoluzione violenta e totalizzante. Si fa fatica a categorizzare Couerderoy. La sua teoria dei Cosacchi rappresenta un unicum nel pensiero di quel tempo perché i Russi erano percepiti come un popolo periferico, quasi asiatico, immobili e oppressi da un potere talmente distante da risultare intoccabile. Invece Couerderoy li porta al centro della storia di cui sono il motore principale. E sarà la Storia stessa a dare ragione alla profezia di Couerderoy. Saranno infatti i comunisti Russi, i Cosacchi rossi, a dare vita alla rivoluzione che darà un’accelerata alla Storia pari solo a quella che venne data dalla rivoluzione francese del 1789. Ma nel 1917 Couerderoy era già seppellito dalla polvere insieme alle sue intuizioni. Compito dei contemporanei riscoprirlo.  

Pubblicato da unaltropuntodivista

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