Quale pace?

Le speranze di una risoluzione del conflitto russo-ucraino sono appese a un filo, color porpora cardinalizia. L’unico attore che sta concretamente provando a sondare il terreno per un accordo tra Kiev e Mosca è, infatti, il Vaticano. Papa Francesco ha incaricato il cardinale Matteo Maria Zuppi di portare avanti una serie di dialoghi con tutti gli attori coinvolti in una guerra fratricida e sanguinosa. Zuppi è andato a Kiev il 5 e 6 giugno 2023, in Russia il 28 e 29 giugno e a Washington pochi giorni fa. Le prospettive di pace sono ancora ben lontane del potersi concretizzare nonostante la mattanza di ragazzi ucraini e soldati, soprattutto delle minoranze etniche, russe. La marcia di Prigozhin ha mostrato, tra oscurità, coni d’ombra e difficoltà di lettura, la presenza di falchi all’interno dell’esercito e degli apparati russi. Mentre in Ucraina la controffensiva si è presto impantanata e il regime regge grazie all’aiuto occidentale e alla repressione antidemocratica dell’opposizione. Insomma, la guerra conviene solo ai potenti alle élite politiche-economiche delle due Nazioni che in essa trovano legittimità. E ovviamente agli Stati Uniti che sono riusciti a staccare la Germania dalla Russia e a compattare un’Alleanza Atlantica che sembrava scarica. Per questo la pace è lontana, nonostante l’immane costo umano e materiale. L’unico soggetto che sembra poter ricomporre è la Santa Sede, grazie anche al cardinale Zuppi, fine diplomatico. Fu tra coloro che riuscirono a ricomporre la lunghissima guerra civile in Mozambico. Certo, se Zuppi e il Vaticano riuscissero a portare Kiev e Mosca allo stesso tavolo, l’impresa non sarebbe paragonabile a quella del 1992, anche se la lotta tra FRELIMO, Fronte di Liberazione del Mozambico, e RENAMO, Resistenza Nazionale Mozambicana, non era per niente di facile risoluzione. Ma, ritornando al discorso principale, Zuppi e il Vaticano sembrano l’unica soluzione realisticamente possibile perché Turchia e Cina, le uniche due alternative credibili, hanno entrambe mancanze importanti.

La Turchia di Erdogan, nonostante il protagonismo del suo presidente su una miriade di teatri geopolitici, rimane un membro della NATO e il suo rilancio, a sorpresa, per l’adesione di Ankara all’Unione Europea è un chiaro segnale. Erdogan sarà costretto, prima o poi, a fare una scelta di campo, che non può che essere la NATO. Perché ne è un membro importante e perché, nonostante l’amplissima libertà strategica, in Turchia rimane la base americana di Incirlik, seppur depotenziata. Ankara, insomma, nonostante qualche flirt con Mosca, ha ancora il ruolo di bastione antirusso verso il Mediterraneo. Un compito storico che le è stato affidato fin dal sedicesimo secolo e che ha raggiunto il suo apice nell’Ottocento quando, il morente Impero Ottomano, fu salvato dalla Gran Bretagna proprio in funzione di antemurale contro Mosca. E così come Washington non ha avuto la minima remora morale a mettere in difficoltà economica la Germania tagliandone i collegamenti con la Russia, la potenza egemone non avrà il benché minimo tentennamento nel costringere Ankara a schierarsi apertamente, qualora il tono dello scontro si alzi. Perciò Erdogan non può essere un interlocutore credibile, troppo ricattabile dai suoi alleati, a causa della sua situazione economica sempre in bilico e a capo di uno Stato membro della NATO.

La Cina, dall’altra parte, ha un problema ben diverso. Pechino sarà la principale rivale di Washington e una pace arrivata grazie al Celeste Impero è inaccettabile per gli Stati Uniti, nonostante i buoni rapporti di Xi con Kiev e con Mosca. L’idea di molti analisti è che gli USA si stiano preparando per il vero scontro, quello con la Cina. La legittimazione internazionale che deriverebbe da un trattato di pace russo-ucraino promosso da Pechino sarebbe un colpo quasi mortale per l’immagine degli Stati Uniti nel mondo. Certo, i discorsi sulla “pax sinica” che si facevano dopo la presentazione del progetto cinese per la pace sono diminuiti ma Pechino arriva da dialoghi di successo con l’Arabia Saudita e, per la prima volta dal crollo dell’URSS, il monopolio del potere globale a stelle e strisce sembra in difficoltà. Proprio per questo una pace a trazione cinese è irricevibile da una componente importante della guerra russo-ucraina, cioè gli USA.

In conclusione, il Vaticano è un attore esperto e capace che ha affidato un compito arduo a Zuppi, fine diplomatico. La Santa Sede sta portando avanti i suoi dialoghi nonostante le resistenze di vastissimi settori dell’opinione pubblica, oramai assuefatti ad una retorica bellicista per niente dissimile da quella che spopola nella Russia che criticano con così tanto zelo, e della solita pregiudiziale antipapista di Washington. Ma l’importante è che qualcuno tenga aperta il dialogo, senza cedere ai tifosi dell’una o dell’altra fazione. Una pace rapida dovrebbe essere negli interessi di tutti perché metterebbe la parola fine ad una carneficina che non serve a nessuno.

Pubblicato da unaltropuntodivista

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