Questione di narrativa

Il prepotente ritorno della Storia nel mondo atrofizzato dell’Occidente ha messo alla berlina una serie di problemi comunicativi. Per meglio spiegare la questione, dunque, occorre analizzare, per prima cosa, il concetto di polarizzazione. L’americanizzazione della società italiana si nota proprio in questo. Gli schieramenti faziosi non permettono un’analisi chiara di cosa succede nel mondo. Questo lo si è visto in maniera chiara durante i lunghi mesi della guerra tra Russia e Ucraina. In questo contesto, gettare fumo negli occhi è fin troppo facile. L’abnorme massa di informazioni gira in maniera vorticosa e senza controllo. Risulta quasi impossibile verificare e tutto viene immagazzinato e dimenticato in un arco di tempo brevissimo.

Il problema si lega con il tema della narrazione. Nella guerra in Est Europa, l’abilità di Kiev nel costruire una narrazione efficace sull’opinione pubblica attraverso metodi ultra contemporanei come i meme e le pagine social dedicate ha avuto effetti importanti. La stessa cosa vale per Israele. L’omissione di dettagli, l’attento utilizzo di alcune parole al posto di altre, l’esagerazione e l’invenzione di notizie, in poche parole la propaganda, sono metodi comunicativi di lunghissima data. Ma ci sono due sostanziali differenze tra ciò che accade oggi e ciò che succedeva in passato. La prima è, appunto, la grandissima polarizzazione e la difficoltà nel creare un dibattito costruttivo. Problematiche che non si ravvisavano nemmeno durante la Guerra Fredda. In un paese come il nostro, zona di scontro politico durissimo e terra di frontiera, i canali di dibattito erano numerosi e fecondi. Ora è tutto appiattito. La seconda differenza è la qualità dei mezzi di informazione. Il potenziale dl web e dei social è altissimo ma il flusso di notizie è ingestibile per un singolo fruitore. E quindi regolarlo è molto più semplice.

Questo lunghissimo preambolo serve a spiegare il perché la narrativa abbia un ruolo così decisivo. Flusso ingestibile di informazioni, polarizzazione e disabitudine al concetto di propaganda hanno prodotto storture difficilmente immaginabili. Così, l’esodo degli armeni dall’Artsakh, preceduto da un blocco criminale da parte dell’Azerbaijan, è passato sostanzialmente sotto traccia. Per un mix di fattori, tra cui la vicinanza dell’Occidente a Baku e la pochezza politica di Pashinyan, Erevan non è riuscita a costruire una narrazione efficace. La surreale sfilata dell’esercito azero in una Stepanakert spettrale avrebbe avuto un impatto mediatico enorme in un qualsiasi altro contesto.

Oramai la politica è solo e unicamente spettacolo. Il crollo culturale è difficilmente arrestabile. Ciò è stato capito da Zelensky e dagli ucraini in primis. La teatralità delle sue comparsate, lo studiato cambio d’abito e l’accorato uso dei social sono temi che verranno scandagliati con dovizia di particolari dagli storici di domani. Tutto funzionale a perpetuare un certo tipo di narrazione.

Nella guerra iniziata da Israele per rappresaglia contro Hamas, la polarizzazione è evidente. Tuttavia, Israele ha più difficoltà a creare una narrazione condivisibile perché i sentimenti di vicinanza ai palestinesi sono comuni in gran parte del globo. E, soprattutto, perché i crimini efferati di Tel Aviv sono talmente palesi, nella loro arroganza, che non si possono nascondere nella marea di informazioni che viene catapultata addosso all’individuo. Questa è proprio la più grande speranza dei palestinesi: l’aiuto internazionale.

Social, guerra, narrazione, politica e spettacolo si sono legate in groviglio impossibile da districare. La spettacolarizzazione della politica e quindi delle guerra, proseguimento della politica con altri mezzi per citare von Clausewitz, è un processo che non sembra essere arrestabile nel breve periodo. La conseguenza è la banalizzazione. Il caso armeno e quello ucraino dimostrano che, mai come oggi, il successo o il fallimento di uomini politici, ma anche il destino di intere Nazioni e popolazioni, dipenda dalla capacità di utilizzare i mezzi propagandistici contemporanei per veicolare la propria narrazione. Tutto ciò è inquietante.

Pubblicato da unaltropuntodivista

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