(Ir)Religio instrumentum regni

L’anticlericalismo di Depretis e Crispi.

La scena politica italiana nella seconda metà dell’ottocento è stata dominata da grandi personaggi. Prima Cavour poi, dopo l’unità raggiunta e la fase interlocutoria del potere rigidamente moralistico della Destra Storica, Depretis e Crispi. Ed è soprattutto grazie all’opera di questi due statisti che l’Italia ha cominciato la sua costruzione come Stato nazionale compiuto. Infatti, nonostante la loro politica sia stata spesso contraddittoria, autoritaria e basata su un controllo oligarchico della vita del Paese, è merito dei due leader più carismatici della Sinistra Storica se i milioni di abitanti della penisola sono entrati nella modernità consapevoli del loro essere italiani. Il processo di state building ha dunque subito un’accelerazione durante il periodo che va dal 1876 al 1896. Un periodo di decisioni politiche, economiche, culturali e anche valoriali. E tra i valori scelti dalla classe dirigente liberale, dominata per lungo tempo di Depretis e Crispi, per costruire la propria identità e quella dei cittadini del giovanissimo regno c’era l’anticlericalismo.

La scelta di elevare l’anticlericalismo a parte fondamentale del nuovo regno potrebbe sembrare azzardata visto il peso del cattolicesimo nella vita degli italiani. La Chiesa romana infatti era rimasta per lunghissimo tempo il potere più vicino agli ultimi, capace di dare assistenza e conforto. Questo fatto, oltre all’importanza più prettamente spirituale del clero, aveva reso la Chiesa un’istituzione insostituibile. La situazione era però radicalmente cambiata con l’unità d’Italia ed era definitivamente precipitata con la presa di Porta Pia. La questione romana infatti aveva dominato i primi anni del regno. Roma era la capitale naturale dell’Italia unita e l’occasione per la conquista, dopo le due fallite spedizioni garibaldine, arrivò con la sconfitta francese a Sedan. L’esercito prussiano aveva inconsapevolmente dato il via libera alla presa di Roma. Il papato non era più sotto la tutela di Napoleone III e le convenzioni di settembre del 1864 erano diventate inutili. I bersaglieri entrarono dalla breccia di Porta Pia il 20 settembre 1870. Si apriva la fase dello scontro tra Stato e Chiesa. Un conflitto aspro e combattuto con encicliche, la più famosa il Non Expedit, e decreti regi. Da una parte il Regno d’Italia cercò di tutelare il Papa con le leggi Guarentigie ma dall’altra mirava a togliere competenze, e quindi potere, al clero e alla Chiesa. Quest’ultima reagì attaccando il neonato Stato e difendendo le proprie prerogative e la propria indipendenza. Tuttavia fu l’atteggiamento ostile del Papa, prima Pio IX e poi Leone XIII, a rendere l’anticlericalismo una base legittima per la costruzione dello Stato nazionale. Legittima perché l’ostilità della Chiesa era effettivamente molto forte.

Depretis

Agostino Depretis salì al potere nel 1876 dopo quella che fu definita, un po’ impropriamente, “rivoluzione parlamentare”. La caduta del governo Minghetti diede inizio a undici anni di dominio politico dell’uomo di Stradella, brevemente intervallati da tre ministeri Cairoli. Depretis era l’esponente di punta della Sinistra Storica, massone iniziato alla loggia Dante Alighieri di Torino. Nei suoi otto ministeri diede inizio a importanti riforme per il consolidamento dello Stato italiano. Tra esse una nuova legge elettorale con annesso aumento del numero degli elettori e un riordino dell’amministrazione locale. La sua politica fu caratterizzata da venature anticlericali e fortemente laiciste. Massimo esempio ne è la legge Coppino del 1877, una riforma scolastica che migliorava la precedente legge Casati del 1859. Tra le novità più importanti, introduceva le fondamentali multe per chi non rispettava l’obbligatorietà della presenza a scuola. Coppino inoltre rese l’insegnamento della religione facoltativo e lo sostituì, anche se non in maniera ufficiale, con ginnastica ed educazione civica. Un’integrazione del 1888 dava la possibilità al genitore di chiedere che al figlio venisse insegnata religione. L’impronta della legge Coppino è fortemente laica e in alcuni punti più avanzata dell’odierna legislazione scolastica. Ma l’impronta anticlericale dei governi Depretis si riverbera anche nelle iniziative extraistituzionali che furono organizzate, se non con il tacito assenso, quanto meno con la benevola indifferenza dell’esecutivo.

Infatti, appena salito al governo Depretis, nel 1876, ci fu l’assalto alle spoglie mortali del cardinale Antonelli. Egli fu l’ultimo segretario di Stato di Pio IX. Dalle idee fortemente reazionarie, fu oggetto dell’odio di gruppi anticlericali che ne presero di mira il corpo. I disordini furono domati ma l’aggressione fu una dimostrazione di forza dei nemici della Chiesa. Ancora più gravi furono le manifestazioni in occasione della traslazione del corpo di Papa Pio IX dalla basilica di San Pietro a quella di San Lorenzo nel 1881. I tumulti di piazza furono portati avanti al grido di “A fiume il papa porco”, “Viva l’Italia”, “Viva Garibaldi” e “Morte ai preti”. Era ancora vivo lo sdegno per la partecipazione del predecessore di Leone XIII alla repressione della Repubblica Romana e per il mancato appoggio alle guerre d’indipendenza italiane, senza dimenticare ovviamente la questione romana. Questo insieme di fattori aveva creato i presupposti per dure manifestazioni di piazza che avevano preoccupato molto Leone XIII. Il papa era stato reso talmente inquieto che nell’estate del 1881 prese contatto con alcuni esponenti del governo francese. Il fine era il trasferimento del papato in Francia, forse in Corsica. La mossa era vista come un’estrema protesta contro i governi Depretis, percepiti giustamente come filo-anticlericali. La notizia è stata confermata grazie al carteggio di Ladislao Kulczycki, una spia al servizio di Umberto I che agiva in Oltretevere. Sempre Kulczycki affermava, con esattezza, che la parte più conservatrice dell’alto clero stava guadagnando terreno. Il circolo vizioso vedeva la rigidità del papato rafforzare l’anticlericalismo e la diffusione dell’anticlericalismo irrigidire il papato. A testimonianza di ciò ci sono le parole del Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Adriano Lemmi, a capo della massoneria italiana dal 1885 al 1896. Nel 1886 affermò: “In nome dei Liberi Muratori chieggio al governo che intorno ai gravi indizi di cospirazione clericale contro la patria, denunciati da tutte la stampa, sia fatta, senza indugio, o piena luce o intiera giustizia”. La “cospirazione clericale” era l’accordo, denominato “Conciliazione”, che alcuni esponenti dei governi di Depretis volevano trovare con il papato. Alla fine, nonostante il proliferare di libelli a favore della riappacificazione tra cui il più importante fu “La Conciliazione” di don Luigi Tosti, non ci furono conseguenze.

La stessa politica estera di Depretis può essere letta in chiave anticlericale. Ciò sembrerebbe assurdo visto che nel 1882 firmò la Triplice Alleanza con Germania e la cattolicissima Austria-Ungheria. Tuttavia Depretis mirava soprattutto all’alleanza con il Reich di Bismarck, di cui era un grande estimatore, e con l’Inghilterra. Fu l’isolamento internazionale e il rifiuto tedesco di stipulare un’alleanza anti-austriaca a costringere il leader della Sinistra Storica ad accordarsi con il nemico storico dell’Italia. Da sottolineare l’assenza della Francia da ogni possibilità di accordo. I transalpini erano visti come clericali e, all’interno dell’ambiente fortemente laico dei governi Depretis, ciò contava molto.

Crispi

“Il nemico principale d’Italia è il prete”, parole di Francesco Crispi, dominus della politica italiana dalla morte di Depretis nel 1887 alla sconfitta di Adua nel 1896. Politico importantissimo, capace di dare il suo nome a un’epoca fondamentale per la costruzione dell’Italia. Crispi fu il massimo esponente del democraticismo autoritario che caratterizzò soprattutto il suo primo ministero, dal 1887 al 1891. Successivamente furono più accentuati i caratteri autoritari. A lui si devono numerosissime riforme in svariati campi. Crispi diede inoltre inizio a una vasta opera di nazionalizzazione delle masse con la costruzione di statue, busti e monumenti dedicati ai numerosi eroi del Risorgimento. La politica anticlericale raggiunse vette mai più toccate con il successore di Depretis. Nel 1888 Crispi legalizzò la cremazione che era stata condannata dalla Chiesa appena due anni prima. Negli stessi anni fiorì un vivace dibattito a favore del divorzio che però non ebbe conseguenze. Il presidente del consiglio inoltre rese punibili i preti che tenevano atteggiamenti ostili nei confronti del regno d’Italia. Una legge fondamentale che acuì i dissidi tra Stato e Chiesa. Egualmente importante fu la legge Crispi del 1890 che laicizzò le Opere Pie. Una tappa fondamentale della lotta per le competenze che aveva come suo centro l’assistenza medica. Crispi volle statalizzarla e la riforma che porta il suo nome è un passo decisivo nell’allargamento delle prerogative statali e un attacco diretto alla Chiesa.

Ma fu dal punto di vista simbolico e culturale che Crispi operò maggiormente in chiave anticlericale. Oltre alle già citate costruzioni di busti e monumenti, su cui si approfondirà in seguito, ci fu anche un lavorio deciso sulla toponomastica. Le vie furono rinominate ispirandosi ai nomi dei grandi dell’epopea di riunificazione nazionale. La volontà di puntare sull’anticlericalismo come elemento fondante dell’Italia è testimoniata dalla scelta, presa nel 1895, di dichiarare il 20 settembre, giorno della presa di Porta Pia, festa nazionale. Crispi aveva scelto lo scontro frontale con la Chiesa. Sei anni prima, nel 1889, aveva inaugurato una statua di Giordano Bruno, il filosofo eretico bruciato sul rogo, a Campo dei Fiori. Il monumento si rivolgeva minaccioso verso San Pietro. La sfida era evidente. Degno di nota fu anche l’amicizia del massone Crispi con Adriano Lemmi, il già citato Gran Maestro di Palazzo Giustiniani. I due condivisero fortune e disgrazie così come la cultura impregnata di riformismo laico. Lemmi aveva grande influenza sull’inquilino di Palazzo Chigi e viceversa. La sconfitta di Adua costrinse Crispi a ritirarsi e la crisi di fine secolo, con i suoi conati reazionari, spostò l’attenzione dall’anticlericalismo all’antisocialismo.

Conclusione

L’anticlericalismo fu scelto come una delle fondamenta del fragile Stato italiano in quanto l’identificazione di un nemico esterno era necessaria per compattare una popolazione e una classe dirigente con enormi differenze al proprio interno. La Chiesa era quindi un bersaglio naturale in quanto effettivamente avversaria sia nel processo di unificazione nazionale sia nel post-unità. E, nonostante l’enorme influenza che il papa mantenne nelle popolazioni contadine, l’anticlericalismo attecchì nel tessuto urbano e aprì la strada alla successiva diffusione del socialismo. Nonostante l’atteggiamento duplice, sia di Depretis sia di Crispi, che ondeggiava tra conciliazione e scontro, a prevalere nei rapporti con la Chiesa fu soprattutto la seconda tendenza. E nella stessa Chiesa la condotta zelante e di chiusura nei confronti del neonato regno oscurò i tentativi di accordo. In aggiunta la nazionalizzazione delle masse condotta con decisione da Crispi acuì il conflitto con il clero che, nonostante l’accordo tra governo e cattolici a Milano in chiave anti-socialista nel 1895, non venne ricomposto fino al patto tra Giolitti e Gentiloni nel 1913.

Pubblicato da unaltropuntodivista

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