Il complesso militare-industriale italiano e l’esempio del rapporto tra Italia-Turkmenistan, parte 2

La legge 185 dell’ordinamento legislativo italiano vieta la vendita di armi a Nazioni che sono in guerra o violano i diritti umani. Probabilmente è tra i primi dieci provvedimenti più calpestati nella storia travagliata della giustizia nostrana. Infatti, dopo l’Egitto di cui si è già parlato, si nota come al secondo posto tra i Paesi a cui il Belpaese vende più armi c’è il Turkmenistan. All’ex repubblica sovietica l’Italia consegna 446 milioni di euro di armamenti vari. Una cifra abnorme e illegale. La situazione dei diritti umani in Turkmenistan è disastrosa per usare un eufemismo. Human Right Watch, di solito grandemente ascoltata quando prende in considerazioni paesi non allineati, ha affermato che. “Il Turkmenistan rimane uno dei Paesi più repressivi al mondo, con una disastrosa situazione di diritti umani. Il presidente Gurbanguly Berdymukhamedov-rieletto nel 2012-i suoi parenti e i suoi associati mantengono un controllo illimitato su tutti gli aspetti della vita pubblica, tra cui la totale assenza di libertà di stampa”. (L’originale: “Turkmenistan remains one of the world’s most repressive countries, with a disastrous human rights record. President Gurbanguly Berdymukhamedov – re-elected in 2012 — his relatives, and their associates, maintain unlimited control over all aspects of public life (including a) total absence of media freedom…”). Parole forti che non lasciano spazio a nessuna interpretazione. Perché le aziende italiane vendono armi al Turkmenistan?

Breve storia del Turkmenistan

Diventato indipendente nel 1991, il Turkmenistan ha tenuto stretti legami con Mosca. Fu governato per sedici anni da Saparmurat Nijazov, ex segretario del partito comunista turkmeno riciclatosi come primo presidente della neonata repubblica. Guidò il Paese in maniera dittatoriale inventandosi di sana pianta un’ideologia guida per il Turkmenistan che racchiuse nel libro chiamato “Ruhnama”. A metà strada tra la Bibbia e il Libretto Verde di Gheddafi, tale volume divenne la pietra angolare del nuovo Stato e del culto della personalità del neo-presidente. In esso Nijazov provò a sintetizzare Islam e nazionalismo usando poesie, racconti mitologici e saggi politici. Nel 2006 il Tukmenbashi, cioè il “padre dei Turkmeni”, morì e venne sostituito da Gurbanguly Berdymukhamedov, anche lui del Partito Democratico, che fece fuori con l’aiuto dei gruppi oligarchici l’erede designato Owezgeldi Atayew. Berdymukhamedov ha sempre incassato grandissimi consensi nelle elezioni presidenziali, toccando per ben due volte il 97%.

Nepotismo, demografia e cotone

Un’ampia fetta della popolazione turkmena conta sullo Stato per i suoi fabbisogni alimentari giornalieri. Le istituzioni però hanno affrontato un periodo di difficoltà. Ciò ha portato a una riduzione delle razioni di cibo date ai cittadini. In questa situazione di grande affanno si è aggiunto uno scandalo che coinvolge il nipote del presidente Berdymukhamedov. Quest’ultimo ha firmato un accordo con un’azienda registrata nel Regno Unito per importare 25.7 milioni di derrate alimentari: zucchero, olio, pollo e molto altro. Il problema è che la ditta, che non ha alcun tipo di storia, è intestata al nipote del presidente turkmeno, Hasymyrat Rejepov. Il rampollo ha sospettosamente comprato una sfarzosissima casa in quartiere extra lusso di Ashgabat. La tempistica parla da sé e la vicenda sarebbe quasi grottesca se non ci fosse di mezzo la vita di centinaia di migliaia di persone.

Il giornale russo Nezavisimaya Gazeta ha recentemente pubblicato un interessante articolo riguardante i numeri della popolazione turkmena. Secondo il quotidiano con sede a Mosca infatti l’ex repubblica sovietica avrebbe meno abitanti di quanto dichiarino le istituzioni. La Gazeta ha analizzato flussi migratori, i nuovi coscritti dell’esercito, il numero degli studenti tra cui coloro che si sono diplomati e anche la quantità di bambini che vanno all’asilo. Il risultato dell’inchiesta è che il Turkmenistan avrebbe 2.8 milioni di abitanti, molti meno rispetto ai 6.2 dei dati ufficiali. Anche se le stime della Gazeta sembrano eccessivamente al ribasso, potrebbero essere più vicine alla realtà di quanto lo siano quelle istituzionali. Il Turkmenistan è però talmente opaco che anche il numero dei suoi abitanti è oggetto di dibattito.

La coltivazione principale del Turkmenistan è il cotone che viene esportato in tutto il mondo scatenando polemiche. Infatti a suscitare le proteste delle associazioni per la tutela dei diritti umani sono i metodi con cui si raccoglie questa fibra tessile. Infatti i contadini vengono costretti a concentrarsi su questa unica coltivazione uccidendo la biodiversità. Inoltre il governo a cadenza regolare costringe insegnanti e altri dipendenti statali ad abbandonare la loro principale professione per diventare manodopera nel raccoglimento del cotone. Praticamente delle corvèe di stampo medievale. Per tutte questa ragioni si è ripetutamente chiesto ai grandi marchi globali di moda di non comprare cotone dal Turkmenistan. Appelli ascoltati? Ovviamente no.

Grandi amici

Italia e Turkmenistan hanno legami economici molto stretti anche se relativamente giovani. I due Paesi infatti hanno cominciato a cooperare in maniera decisa dall’EXPO del 2015. Il rapporto ha presto spiccato il volo. L’Italia è il primo partner europeo dell’ex repubblica sovietica e il terzo nel mondo. Lo scambio commerciale tra le due Nazioni tocca la cifra di 1.5 miliardi di euro. La relazione è biunivoca infatti il Belpaese è il secondo porto d’arrivo prediletto dei prodotti turkmeni. Ma l’affare più lucroso lo fanno le aziende italiane che vendono armi con un vorticoso giro d’affari dal valore di 446 milioni di euro. Questa cifra mastodontica porta il Turkmenistan al secondo posto tra i Paesi che comprano più armamenti italiani. In quel numero enorme sono compresi missili, bombe, razzi, navi, aeromobili e strumentazione per l’addestramento. Un po’ di tutto quindi. Il legame tra Italia e Turkmenistan è talmente stretto che il 3 settembre 2020 c’è stata una telefonata tra Mattarella e

Berdymukhamedov in cui si è ribadita la reciproca stima. Il giorno dopo è stato creato un consiglio d’affari italo-turkmeno. Si è anche registrato l’apprezzamento da parte del presidente turkmeno dell’atteggiamento favorevole che l’Italia ha sempre mantenuto nei confronti della neutralità del Paese centro asiatico. Un rapporto, quello tra Mattarella e Berdymukhamedov, proficuo e cordiale. Come si è visto nella visita del successore di Nijazov a Roma, avvenuta nel novembre 2019. Già da prima però i contratti erano molto ben avviati. In un entusiastico articolo della newsletter di febbraio 2020 dedicata all’economia del Ministero degli Esteri italiano, con annessa intervista all’ambasciatore di stanza ad Ashgabat Diego Ungaro, si definisce l’Italia “privilegiata tra i partner commerciali del Turkmenistan”. In oltre si tessono lodi per il tentativo del governo Berdymukhamedov di diversificare l’economia del suo Paese. Un’economia “complementare” a quella italiana. Si elogia inoltre la serie di bilaterali avvenuti nel 2017 a Roma, preludio alla visita del dittatore turkmeno. Il titolo della newsletter è: “Italia-Turkmenistan, binomio vincente?”. Vincente sicuro, ma il prezzo morale che il Belpaese paga è ben più pesante del guadagno che si ottiene.

Hacker italiani al servizio di Ashgabat

Un’azienda italiana chiamata “Hacking Team”, attiva fino al 2015, diede il permesso per promuovere i suoi dispositivi spyware ai servizi segreti e alle forze di sicurezza turkmene. Una vicenda che ricorda molto da vicino quella che sta scuotendo il mondo in questi giorni e che vede coinvolti un’azienda israeliana e vari potenti del mondo. Anche in questo caso sono coinvolti israeliani. Infatti all’epoca della vicenda, nel 2012 e 2013, furono cittadini di Tel Aviv a fare da intermediari con l’Hacking Team. In un secondo momento invece un cittadino lituano residente a Dubai si propose con successo all’azienda italiana sempre nel ruolo di mediatore. Se i servizi segreti turkmeni usarono effettivamente i prodotti italiani rimane un mistero.

Mail con il primo abboccamento tra Hacking Team e un intermediario.
Seconda mail di abboccamento tra HT e un intermediario.

Conclusione

La situazione che emerge dall’analisi dei dati e delle parole pronunciate in occasioni ufficiali è sconfortante. La legge italiana viene calpestata da colore che dovrebbero difenderla. Come se non bastasse, nel frattempo, si finanzia profumatamente un regime che incarcera gli oppositori e tortura i giornalisti. I diritti umani, tanto chiacchierati, sono continuamente umiliati nel Turkmenistan di Berdymukhademov. Emerge l’ennesima doppia morale che caratterizza il giudizio dei rapporti internazionali. Cosa accadrebbe se dessimo 446 milioni di euro di armi alla Corea del Nord? Perché il regime turkmeno non è così diverso da quello nordcoreano, anzi. Allora perché continuare a collaborare con Ashgabat? L’economia italiana riuscirebbe senza problemi a superare la piccola crisi che si aprirebbe con la fine dei rapporti commerciali con un regime sanguinario. Ma è pura utopia. Non c’è la volontà per uno strappo deciso ma giusto e indolore.

Pubblicato da unaltropuntodivista

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