La politica estera cristiana dell’Ungheria

Il terremoto devastante avvenuto tra Turchia e Siria ha innescato una gara di solidarietà da cui sono emersi subito risvolti politici. Erdogan stesso si è prestato al gioco facendo bella mostra degli arresti di costruttori edili e di architetti, colpevoli di aver progettato palazzi che si sono frantumati alla prima, seppur potentissima, scossa. Una speculazione edilizia che ha avuto proprio nel presidente-sultano e nel suo sistema politico un appoggio costante. Ma non è questo il punto dell’articolo. Nelle ore e nei giorni successivi alle scosse, sono state moltissime le Nazioni che hanno mandato i propri uomini ad aiutare Turchia e, in misura minore, Siria. Tra di esse anche l’Ungheria. Un Paese che nella zona ha costruito la sua influenza usando una leva particolare: la religione. In una logica che ricorda le grandi manovre ottocentesche delle potenze europee, Budapest ha implementato quella che può essere definita come una vera e propria politica estera cristiana. E i pilastri di questa ambiziosa manovra, al tempo stesso innovativa ed estremamente tradizionale, sono due: l’Hungary Helps Program e Katalin Novak.

L’Hungary Helps Program

Lanciato nel 2017 dal governo ungherese, l’Hungary Helps Program offre aiuto alle popolazioni cristiane perseguitate in Medio Oriente e in Africa. Il ventaglio dei mezzi messi in campo per supportare queste comunità è molto ampio. Si passa dalle borse di studio, come lo Scholarship Program for Christian Youth People, ai supporti economici per i cristiani della Nigeria senza dimenticare la pubblicazione del “Budapest Report on Christian Persecution”, il cui ultimo numero risale però al 2021. Una serie di attività che spaziano dal mondo culturale a quello della beneficienza e che hanno ramificazioni in tutto il mondo. Per supportare e coordinare l’azione dell’Hungary Helps Program è stata fondata, nel 2019, l’Hungary Helps Agency. Un’organizzazione no profit diretta dal ministero degli Esteri e del commercio. Il suo direttore, con la carica di segretario per l’Hungary Helps Program e per l’aiuto ai cristiani perseguitati, è Tristan Azbej. Sotto la sua guida l’HHP si è diffuso in più di 50 Stati aiutando, secondo le cifre presenti sul sito ufficiale, quasi 500.000 persone. Si può dunque dire che l’Hungary Helps Program sia lo strumento con cui il governo ungherese esercita la sua influenza, tramite aiuti materiali, su varie minoranze cristiane in pericolo.

La politica estera cristiana dell’Ungheria si esplicita anche attraverso eventi culturali. Nel settembre 2021, infatti, Budapest ha ospitato il cinquantaduesimo congresso eucaristico internazionale. È un evento organizzato per celebrare la presenza di Cristo nell’eucarestia. L’importanza dell’organizzazione di questo congresso internazionale è soprattutto simbolica. Inoltre, ciò ha permesso lo sviluppo di un rapporto intenso con il Vaticano, nonostante la forma mentis contrastante di Papa Francesco e Viktor Orban. I due si sono riavvicinati grazie al loro ruolo di mediazione all’interno del conflitto russo-ucraino. Anche per questo il Pontefice tornerà in Ungheria tra il 28 e il 30 aprile. È il suo secondo viaggio in terra magiara dopo la breve visita nel settembre 2021, proprio in occasione del congresso eucaristico internazionale. Tutti fattori che stanno consolidando l’Ungheria come centro della cristianità in Europa.

Katalin Novak e i cristiani del Medio Oriente

Se l’Hungary Helps Program agisce a livello mondiale, passando dai progetti di riapertura delle scuole cristiane nelle aree precedentemente occupate da Boko Haram agli aiuti umanitari mandati agli afghani, il governo ungherese si concentra di più sulle popolazioni cristiane del Medio Oriente.

Orban nel febbraio 2019 ha incontrato le alte gerarchie della chiesa greco-cattolico melchita. Una comunità religiosa di quasi due milioni di fedeli, presente in Siria, Giordania e Turchia tra le altre Nazioni della zona. Nelle aree abitate dai greco-cattolici, l’Ungheria ha stanziato 7.63 miliardi di fiorini, circa venti milioni di euro. Una cifra importante con l’obiettivo di aiutare le popolazioni cristiane nella loro terra d’origine. Il devastante terremoto che ha colpito Siria e Turchia ha testimoniato ancora una volta la vicinanza degli ungheresi alle comunità cristiane. Orban, tra le prime telefonate dopo il sisma, ha chiamato Jean-Clement Jeanbart, l’arcivescovo greco-cattolico melchita di Aleppo. Il religioso era stato ferito nel crollo della Chiesa dove abitava. Il collasso dell’edificio aveva causato la morte di un suo collaboratore e per qualche ora si era temuto che lo stesso Jeanbert fosse rimasto ucciso. Il rapporto tra l’arcivescovo e l’Ungheria è molto stretto. Oltre al già citato viaggio del 2019, Jeanbert aveva visitato Budapest anche nel 2017. Un legame, quindi, piuttosto profondo. Il terremoto in Siria e Turchia, nella sua devastante tragicità, ha messo in mostra proprio queste connessioni, nascoste al grande pubblico, tra Ungheria e popolazioni cristiane.

Collegamenti che durano oramai da qualche anno. Proprio in Siria l’Ungheria aveva finanziato vari ospedali nel 2019, per un totale di 1.7 milioni di dollari. In un programma condiviso con il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, organo istituito da papa Francesco nel 2016, infatti, si sono ristrutturati tre ospedali cattolici con medici di varie religioni. L’obiettivo è quello di garantire un servizio sanitario di qualità anche per le fasce più povere della popolazione. I rapporti tra l’Ungheria e le popolazioni cristiane del Medio Oriente, inoltre, non si riducono solo alla Chiesa greco-cattolica melchita. Budapest ha finanziato diversi progetti, soprattutto nel campo dell’educazione, anche per la Chiesa siro-ortodossa e per la Chiesa siro-cattolica. Fondamentale è stato l’apporto magiaro per la ricostruzione di alcuni villaggi cristiani nella piana di Ninive, distrutti durante l’occupazione dell’ISIS. Il patriarca siro-cattolico di Antiochia Ignatius Joseph III Yonan, durante la storica visita di Papa Francesco in Iraq nel marzo 2021, ringraziò esplicitamente l’Ungheria per il supporto dato e affermò che senza l’aiuto magiaro la sua comunità sarebbe stata dissolta. Un prestigioso riconoscimento che certifica un lavorio politico e di solidarietà molto profondo.

Ma il pilastro della politica cristiana di Budapest in Medio Oriente è la presidente dell’Ungheria Katalin Novak. Fedelissima di Orban, quarantacinque anni, è stata ministro della Famiglia nel precedente mandato del leader di Fidesz. Di religione calvinista, la Novak è considerato un membro filo-atlantista all’interno del governo orbaniano. Lei è stata protagonista di uno storico viaggio in Iraq, il primo da parte di un capo di Stato magiaro. Una missione diplomatica dall’altissimo valore simbolico. Dopo un colloquio con il presidente iracheno Abdul Latif Rashid, la visita della Novak è proseguita all’insegna della cristianità. La tappa più significativa del suo viaggio diplomatico è stata Telskuf, una cittadina conosciuta anche come “la figlia dell’Ungheria”. Telskuf si trova a nord di Mosul ed è un villaggio a prevalenza cristiana. Occupata dall’ISIS, Telskuf è stata poi riconquistata dai peshmerga curdi. Qui l’Ungheria ha investito quantità notevoli di denaro per permettere alla comunità cristiana, composta soprattutto da fedeli della Chiesa Assira d’Oriente, di tornare nelle loro case. La Novak ha anche incontrato l’arcivescovo caldeo di Alqosh Boulos Thabet Habib. L’Ungheria ha legami con la Chiesa cattolica-caldea dal 2017 quando aveva supportato materialmente l’arcidiocesi caldea di Erbil, messa a duro prova dalla repressione feroce dello Stato islamico. La Novak ha proseguito il viaggio in Iraq visitando un asilo gestito dalle suore domenicane e una fattoria costruita su un terreno di proprietà della chiesa caldea per aiutare lo sviluppo dei contadini locali. Entrambe le attività sono state finanziate dai fondi ungheresi.

La stessa Novak, sui suoi canali social, ha evidenziato con orgoglio le lettere ricevute da vari esponenti di diverse comunità cristiane orientali e non solo. Ignatius Aphrem II, patriarca di Antiochia e della Chiesa siro-ortodossa nonché destinatario di una sentita lettera da parte della presidente magiara, ha ringraziato più volte l’Ungheria e la Novak per il loro supporto morale e poi materiale così come il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria. Anche il dottor Haroutune Selimian, presidente della comunità armena protestante in Siria, ha spedito una lettera alla presidente ungherese in cui si ricorda lo stretto partenariato tra gli armeni protestanti e Budapest. Il ruolo delle Chiese cristiane si è esplicitato anche in una lettera in cui si chiedeva di porre fine all’embargo contro la Siria. In una dichiarazione congiunta, datata 7 febbraio, firmata da Giovanni X, patriarca greco-ortodosso, da Ignatius Aphrem II, patriarca siro-ortodosso. da Giuseppe I, patriarca greco-cattolico melchita e dagli altri capi delle Chiese in Siria, si faceva appello alle Nazioni Unite per la rimozione immediata delle sanzioni economiche. Un’iniziativa diplomatica che ha sicuramente trovato l’appoggio all’interno del governo ungherese. L’unica Nazione occidentale, insieme al Vaticano, a muoversi moralmente e materialmente a favore di popolazione devastate dal terremoto.

Pubblicato da unaltropuntodivista

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