Riflessione sul Giorno del Ricordo

Ogni 10 febbraio, dal 2004, assistiamo alle varie commemorazioni per le vittime delle foibe e per gli esuli dell’esodo giuliano-dalmata. La strada che si sta percorrendo è chiara e ben tracciata e porta a un aumento costante dell’attenzione data a questa giornata. La tendenza però è quella di mistificare determinati eventi. Quest’anno il dibattito, di solito piuttosto monotematico, è stato ravvivato dall’uscita per Laterza del libro di Eric Gobetti, intitolato “E allora le foibe?”. Il pamphlet, dal titolo polemico, è stato subito tacciato di negazionismo e riduzionismo. Entrambe le accuse sono erronee e basterebbe leggerlo per rendersene conto. Nell’opera, che consigliamo, non si negano affatto le violenze commesse dai partigiani del maresciallo Josip Broz Tito e anche la vaporosa critica di “riduzionismo” sul numero delle vittime delle foibe è poco sensata poiché sulla questione accordo tra gli storici non c’è. Si passa da chi ritiene che esse siano tremila/quattromila a chi pensa che sfiorino le diecimila unità mentre è da escludersi, perché privo di fondamenta storiografiche, un numero superiore.

Uno dei problemi più gravi che riguarda questa giornata è il proliferare di fotografie, spesso condivise sui social da pagine seguite da moltissime persone, la cui didascalia descrive una situazione opposta a quella che stava accadendo mentre tale fotografia veniva scattata, riportiamo qua l’esempio più clamoroso:

Questa foto rappresenta dei soldati nazifascisti mentre stanno fucilando dei partigiani titini. La foto è stata spesso usata per rappresentare le violenze dell’Esercito di Liberazione jugoslavo sui civili italiani.

L’account social di History Channel addirittura travisa totalmente il significato vero della foto. La pagina è seguita da centinaia di migliaia di persone.

Un altro difetto di questa commemorazione è la mancanza di contestualizzazione. Il fenomeno dell’esodo e delle uccisioni non viene inserito in un panorama più ampio che invece è necessario per inquadrare quei sanguinosi eventi. Non vengono mai citate le italianizzazioni forzate e le vessazioni del regime fascista in queste terre di confine, compiute dal 1922 al 1945. Non si parla dei nostri campi di concentramento ad Arbe (odierna Rab) e Gonars dove venivano internati i nemici del Duce in quel momento al potere in Italia. Non vengono mai citate le brigate Garibaldi e Italia, composte da quei militari italiani che, dopo il disfacimento dello Stato avvenuto con l’armistizio dell’8 settembre 1943, decisero di combattere fianco a fianco con Tito e i suoi soldati. Ricordiamo che la Jugoslavia fu l’unica Nazione a liberarsi senza l’aiuto degli Alleati. Infine è conosciuto pochissimo il fenomeno delle espulsioni di popoli avvenute a fine seconda guerra mondiale. Quest’ultimo punto è utile non per fare del benaltrismo ma per capire che certi leitmotiv, come gli esodi e le vendette, si ripetono in tutta Europa con un’intensità maggiore rispetto a quella che si vede da noi. Ad esempio furono milioni i tedeschi costretti a lasciare le loro terre centenarie nell’Est Europa (Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia soprattutto).

In conclusione negare le foibe e non parlare dell’esodo è un errore e non sarebbe perdonabile oltre che storicamente inesatto. Ma altrettanto imperdonabile e storicamente inesatto sarebbe non contestualizzare ciò che è avvenuto. Bisogna quindi stare attenti nel non cadere nelle trappole che certi settori della società, pur proclamandosi post-ideologici, tendono con fini che sono invece profondamente ideologici.

(Come immagine la foiba di Basovizza, monumento nazionale, che non è una foiba ma un pozzo.)

Pubblicato da unaltropuntodivista

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